Made in Japan. My vintage motorcycle
La Kawasaki gpz 600 r era la moto che da ragazzino catturava sempre la mia attenzione e le mie fantasie, quando uscì nel 1986 non potevo nemmeno guidare un motorino, ma ero informatissimo su tutte le novità motoclistiche grazie a riviste come “motospirnt, tuttomoto e motociclismo”. Era una moto rivoluzionaria, la prima con tutto quello che un motociclista potesse desiderare, freni a disco avanti e dietro, mono ammortizzatore posteriore, carena integrale, un motore di nuova concezione a 16 valvole e una potenza di 70 cv che per l’epoca, su un 600, non erano affatto pochi.
Le vedevo sfrecciare spesso mentre con la mia bicicletta sognavo un giorno di possederne una…
Poi le cose si sa, prendono pieghe diverse, di moto ne ho avute ma lei non lo mai dimenticata, poi, alla soglia dei 50 anni decisi di cercarne una e presi lei.
Il proprietario precedente era un ragazzo con tanta passione e ci ha lavorato tanto per metterla in sesto, certo non è perfetta, le è stato fatto un restauro conservativo ma non le manca nulla.
Me la portai quindi a casa e quando la scaricai dal furgone e me la vidi per la prima volta davanti casa il cuore mi batteva forte e provai un grande commozione, pensai che alla fine è vero che a volte i sogni si avverano.
Pochi giorni dopo, dopo averla assicurata ci montai su e il cuore questa volta batteva ancora più forte, ma questa volta per soggezione.
La gpz non è una moto facile, è scorbutica e ha un avantreno che non perdona sbagli, tuttavia l’accesi e per la prima volta viaggiamo insieme, le paure sparirono restò e c’è tuttora soggezione e rispetto per una moto che non ammette errori, ma si sa…basta andar piano.
Ora è con le altre moto in laboratorio, dovrei coprirla con un telo per evitare che prenda polvere, ma proprio non ce la faccio a metterglielo, è bella da vedere che ogni volta che ma la guardo so di avere un mezzo sorriso beffardo stampato in faccia.
Almeno una volta a settimana le faccio fare un giro, perché si sa che le vecchiette hanno bisogno di sgranchirsi le ossa a volte.